Vienet’ a’ piglia’ o perdono

Il carrozzone è partito e come sempre farà parlare di sè (purtroppo per poco) ma sicuramente ha generato milioni di euro, oltre che condizionato il mercato musicale trasmesso dalle radio, almeno fino al prossimo festival.

Tendenze e moda, canzoni e personaggi: tutto viene creato a mestiere da una macchina ben oliata che da decenni, anzi per la precisione da 74 anni, muove una montagna di soldi. Come tutti i grossi ingranaggi capita che qualcuno venga schiacciato, triturato in nome del profitto.
Allora è tutto fumo negli occhi? E tutta una farsa?

Assolutamente no. Ci sono ragazzi, giovani artisti, che vorrebbero vedere realizzato il proprio sogno. Trasmettere il proprio pensiero o, semplicemente, lanciare un messaggio per un confronto, per un risveglio oppure per riscatto, ed è proprio quello che è successo quest’anno, che piaccia o no.

Ci sono artisti che da sempre cercano di avere un percorso ben chiaro e provano parola per parola, nota dopo nota. E cercano di raccontarsi, di accendere un faro sulle storture del mondo. Poi ce ne sono altri che vorrebbero solo dimostrare tutta la loro fierezza, tutto il loro amore per la terra in cui sono nati e cresciuti, e dove forse moriranno. Ma questo, a volte, a qualcuno sembra proprio insopportabile. E se per caso questo giovane artista arriva da un po’ più giù di Roma, magari da Napoli, allora “Uaaa guagliò!!!! Je ‘o saccio che state penzanno!”

Parliamo di Geolier, all’anagrafe Emanuele Palumbo, nato nel quartiere di Secondigliano (Napoli). Per l’immaginario collettivo, automaticamente uno di Gomorra. Come se non bastassero i pregiudizi che pesano come macigni su chi per caso, e solo per caso, si è trovato a nascere in zone diverse da chi lo giudica.

Insomma questo ragazzo fiero, anzi fierissimo, si presenta con la maglia azzurra del suo Napoli e canta nella sua lingua. Anzi fa ancora di più: considera l’italiano lingua straniera, infatti lo usa per il ritornello. Poi continua, serata dopo serata, ad essere fiero. Non si nasconde mai. Si veste da napoletano, si muove da napoletano, mostra la cazzimma napoletana. Perchè è questo che tutti vogliono vedere, per poi poterlo umiliare di essere napoletano. Tutti aspettavate il napoletano? Ebbene ve lo ha mostrato proprio come voi lo immaginate, e lo ha fatto con enorme fierezza.

Nella serata delle cover il giovane Geolier, con i suoi fratelli d’avventura Lucche Gue Gigi, canta un medley rap-pop con il quale vince o, almeno, per poco ha creduto di vincere. Perchè per la stampa non è andata cosi. Hanno parlato subito di furto. Il solito napoletano che ruba ciò che non gli appartiene. Così il giovane rapper è costretto a tornare nel suo piccolo mondo, nella sua gabbia, quella nella quale non è solo nato, ma è stato inchiavardato dai pregiudizi. «Derubare, che brutta parola, non vedo l’ora che finisca» con questo stato d’animo Geolier si prepara ad affrontare le ultime ore del suo festival.

Purtroppo però le cose sono persino peggiorate. Emanuele ha cercato con tutto se stesso di elevarsi ed emanciparsi dalla figura retorica, e dal pregiudizio, che se sei napoletano e per di più vieni da Secondigliano, sei necessariamente un Camorrista. Ci ha provato. Ma in quell’immaginario napoletano tutti l’avevano già rinchiuso ed etichettato. Specialmente i nordisti. Così si è passati dai soliti, odiosi e vergognosi rigurgiti degli striscioni dello stadio bergamasco, “Odio Napoli“, “Noi non siamo napoletani”, “Lavali col fuoco”, all’offesa personale, diretta, senza equivoci umanitari: “Colonna sonora di un prediciottesimo camorrista”. Il cerchio è chiuso.

Il festival della canzone italiana, in mondovisione, celebra la triste vergogna di un nord, ancora primitivo, che non è capace di convivere civilmente.

I p’ me. Tu p’ te.

[Arnold Layne] 

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