Sono di parte. E sono felice.

Adesso dovete prendervi cinque minuti. Seriamente. Fermatevi. Mettetevi comodi. Lo sapevate che questo momento sarebbe arrivato. Allora non scappate. Guardatevi negli occhi. E dìtevelo come una giornata di sole limpido. Davvero credete ancora nell’obiettività giornalistica? La domanda può sembrare imbarazzante, ma non dimenticate la magnifica lezione di Sergio Leone. Le domande non sono mai indiscrete. Le risposte, qualche volta, possono esserlo.

Non ve lo nascondo: questa domanda mi è caduta sui piedi in seguito alle note vicende accadute nella nostra ridente cittadina. A questo proposito, e per onore di cronaca, annoto che Luca Santovincenzo, candidato sindaco di LiberAnagni, ha diffuso nella giornata di ieri un comunicato ufficiale, nel quale spiega i motivi della sua rinuncia al confronto in diretta fb organizzato dal Messaggero. Se non l’avete visto, ve ne consiglio la lettura. Lo trovate qui. Ecco. E’ proprio mentre riflettevo su tutta questa vicenda che la domanda m’è caduta sui piedi. Lo so che qualcuno di voi spera che mi abbia fatto male. Ma, carissimi, debbo deludervi. Perchè che vi pensate, forse: di essere innocenti? Poveri voi. Siete coinvolti anche voi, eccome. Con l’acqua fino al collo. Ringraziatemi, perchè vi sto lanciando un salvagente.

Ve lo voglio dire con estrema semplicità. Una notizia non corrisponde mai (m-a-i) ad un evento. Ma solo al racconto, alla narrazione, alla relazione di quello stesso evento. E quella narrazione è opera di un osservatore, che potete chiamare giornalista, o testimone, o come piffero vi pare, che non è in grado di guardare l’evento con altri occhi se non quelli che possiede. Occhi che sono la finestra della cultura, delle idee, dei valori di riferimento dello stesso osservatore.

Dovete arrendervi all’evidenza. La cosiddetta realtà oggettiva è solo il risultato dell’osservazione di un soggetto che, in quanto tale, non può essere ‘oggettivo’. Perciò ogni racconto della realtà non può che essere una specie di *esplorazione*, nella quale il soggetto che osserva rintraccia il percorso della propria visione del mondo (weltanschauung), scegliendo *cosa* vedere e *come* vedere. Talvolta per aderire, talvolta per protestare.

Vi gira la testa? Niente paura: ve l’avevo detto di mettervi comodi cinque minuti. Però vi voglio venire incontro: vi do il risultato finale. L’obiettività non esiste. Perchè, semplicemente, non *può* esistere. E non perchè i giornalisti siano cattive persone, o perchè i testimoni siano per forza inattendibili. Ma semplicemente, ed estremizzo un po’, perchè la creatura che si chiama essere umano è un soggetto al quale è preclusa la possibilità di riconoscere un oggetto.

Quante volte vi è capitato di valutare un evento, e di scoprire che l’amico che vi sta accanto, o magari la mamma, l’avvocato, il negoziante sotto casa, hanno di quell’evento una percezione completamente differente dalla vostra? Pensate a tutte le volte che avete tirato fuori la frase: ‘questo non sta bene’. Perchè qualcuno ha fatto o detto o pensato qualcosa per voi del tutto inconcepibile, assurdo, impossibile. Ebbene. Eppure qualcuno, quella cosa strana, l’ha detta, l’ha fatta, l’ha pensata. A riprova del fatto che, ed evitate di piagnucolare per favore, la vostra ipotetica ragionevolezza, il vostro equilibrio, la vostra *obiettività*, ahimè. Esistono solamente nella vostra testa.

Vedo qualcuno di voi tentennare. Reggetevi forte. Il peggio è passato. Adesso andiamo in discesa. Ma con ordine, però. Evitate di rotolare. Posto che l’obiettività non *può* esistere, per nessuno. E posto che ogni narrazione del reale è una *interpretazione* (soggettiva) del reale. Ha senso parlare ancora di giornalismo? Ed a cosa può servire?

Amici miei, vi vedo un pochino provati. Quindi prendo la scorciatoia, così arrivo prima. Dovete sapere che, quando il quotidiano La Repubblica iniziò le sue pubblicazioni, io partecipai all’evento. Ossia, comprai una copia del primo numero. E la lessi pure. Incredibile, eh? Ebbene. In quel primo numero c’era la presentazione del progetto. Ed, in soldoni, c’era il riassunto della filosofia che quel quotidiano avrebbe poi trasformato in percorso giornalistico. E quella filosofia diceva proprio questo: noi non vi garantiamo l’obiettività, perchè l’obiettività non esiste. Noi vi garantiamo una lettura della realtà (=la sua interpretazione) alla luce di un’ideologia progressista.

Ho sempre fatto tesoro, personalmente, di quell’indicazione. Infatti ritengo che la cosa più onesta che può fare un giornalista, così come chiunque si metta a raccontare la realtà, stia nell’avvertire i propri lettori su quello che è il punto di vista. Qual è il tipo di occhiali che indossi per guardare la realtà? Non c’è trucco non c’è inganno: io non sono mai andato alla ricerca di una ipotetica oggettività. Perchè il primo a *non* essere neutale son proprio io. Io sono di parte, e lo sono sempre stato. Ma attenzione, che sia chiaro. Siete di parte pure voi. Esattamente come me. Come tutti. Io ho coltivato la bellissima lezione gramsciana: sono un partigiano. Perchè non sono indifferente. Per questo trovo sia molto, ma molto, più interessante offrire un punto di vista col quale potersi confrontare. E’ meno importante essere d’accordo. Lo è di più potersi misurare. Perchè comunque, ragazzi, c’è poco da fare. Posto che nessuno di noi possiede la verità, non abbiamo che una scelta. Sederci intorno ad un tavolino ed ascoltarci. Magari discutere. Magari litigare. Ma, quando ci alzeremo, ci saremo fatti un regalo a vicenda. Ci comprenderemo un po’ di più.

Non è un regalo da buttare.

E’ il regalo che ho sempre confezionato per tutti voi. Un po’ ripetitivo, vero. Ma non ho mai preso in giro nessuno dei miei occasionali lettori. Mai nascosto le mie idee. Mai inseguito il fatto. Mai andato a caccia dell’obiettività. Ciò che offro è un’opinione. Un’analisi. Un’interpretazione. Perchè, come dico ai miei ragazzi sorridendo della mia testa pelata, non è importante quello che sta sopra la testa.

Ma quello che c’è dentro.

[Ave]

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